Monitoraggio ghiacci
Per il decennio 2007-2017 il ghiaccio marino invernale Artico previsto in crescita
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- Pubblicato 12 Dicembre 2015
- Scritto da Paolo Lui
I ricercatori hanno testato quanto bene sono stati in grado di prevedere i cambiamenti del ghiaccio marino invernale da "estrapolazioni all'indietro" nei decenni passati, per poi confrontarli con le loro previsioni retrospettive all'osservazione di ciò che è realmente accaduto.
Questa immagine mostra come il modello si accosta alla realtà per il periodo 1997-2007:
Gli scienziati climatici del Centro National for Atmospheric Research (NCAR) presentano prova di un nuovo studio che può prevedere se il ghiaccio del mare Artico che si forma in inverno crescerà, si ridurrà o avrà una tenuta del proprio corso nei prossimi anni.
Il team di scienziati ha scoperto che i cambiamenti nella circolazione oceanica del Nord Atlantico potrebbero permettere alla misura del ghiaccio marino invernale di rimanere stabile nel prossimo futuro, con la continua perdita in alcune regioni bilanciata da crescita in altre, tra cui nel Mare di Barents.
Un numero crescente di scienziati cerca di prevedere come il clima può cambiare nel corso da qualche anno a qualche decennio, invece della serie più tipica da molti decenni o addirittura secoli. Questo tipo di "previsione decennale" fornisce informazioni su un lasso di tempo che è utile per i decisori politici, attori regionali, e altri ricercatori.
La Previsione Decadale si basa sull'idea che alcune variazioni naturali nel sistema climatico, quali i cambiamenti nella forza delle correnti oceaniche, si possano dispiegare prevedibilmente nell'arco di diversi anni. A volte, gli impatti possono sopraffare la tendenza generale al riscaldamento causato dai gas serra.
Una serie di recenti studi che collegano i cambiamenti nella circolazione dell'oceano Atlantico settentrionale e l'estensione del ghiaccio marino hanno portato i ricercatori a pensare che sarebbe anche possibile fare previsioni decennali per la copertura del ghiaccio marino artico invernale, utilizzando i dati e immettendoli nel sistema modellistico NCAR: La chiave è che rappresenta accuratamente l'Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC) nel modello. L'AMOC trasporta acque superficiali calde dai tropici verso il Nord Atlantico, dove si raffreddano per poi affondare prima di fare un ritorno a sud nelle correnti oceaniche profonde.
L'AMOC può variare in intensità. Quando è forte, più acqua calda viene trasportata più lontano verso il nord, negli oceani Atlantico e Artico, accelerando la perdita di ghiaccio marino. Quando debole, l'acqua calda rimane in gran parte più a sud, ed i suoi effetti sul ghiaccio del mare sono invertiti. Le variazioni dell'AMOC da vigorosa a debole o viceversa, avviene da annuale a decennale, fornendo agli scienziati una certa capacità di prevedere in anticipo quale sarà l'incidenza invernale sul ghiaccio marino, in particolare. L'AMOC ora sembra in procinto di indebolirsi.
La quantità di ghiaccio marino che copre l'Artico cresce in genere al massimo alla fine di febbraio, dopo il lungo e buio inverno. Il minimo del ghiaccio marino in genere si verifica alla fine della stagione estiva, a fine settembre. Il nuovo studio si rivolge solo al ghiaccio marino invernale, che è meno vulnerabile del ghiaccio estivo alle variazioni dell'attività del tempo meteorologico, che non può essere previsto con anni di anticipo.
Poiché le immagini satellitari del ghiaccio marino si estendono solo indietro al 1979, gli scienziati hanno avuto un relativamente breve set di dati per la verifica delle previsioni su scala decennale contro le condizioni reali, e quindi suggeriscono una certa cautela. Inoltre, l'AMOC stessa è stata misurata direttamente solo a partire dal 2004, anche se le osservazioni di altre variabili che si pensa possano cambiare in tandem con l'AMOC, come l'altezza della superficie del mare e la densità dell'oceano nel Mare del Labrador, così come la temperatura della superficie del mare nel lontano Nord Atlantico, rendono i dati ben omogenei.
Gran parte della fiducia di questi ricercatori deriva dal fatto che il modello lavora bene nel prevedere i lenti cambiamenti nel trasporto di calore degli oceani e la temperatura superficiale del mare nel Nord Atlantico subpolare, e questi sembrano influenzare il tasso di perdita del ghiaccio marino.
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